Dovevamo fermarci per una breve vacanza di carnevale, sembra un altro tempo.
Nella sacca un ricambio e pochi libri. Nella mente qualche pensiero vago, alcuni programmi volanti con amici. Davanti i km che ci separavano dalla nostra montagna. La solita routine delle partenze fuori porta. Siamo qui da giorni che non conto per scelta. Siamo qui a tempo indeterminato o determinato, confinati ai confini del Piemonte.
Stamattina nel giardino ho trovato una cesta di plastica ricolma di legna da ardere e grossi ceppi. Un regalo della guardia forestale, i ragazzi a cui ho offerto il caffe’ pochi giorni fa. Un gesto semplice, scontato, che scontato non era. I bar sono chiusi e nessuno si ferma a parlare troppo a lungo. Danilo il piu’ anziano del gruppo mi ha raccontato come da ragazzo un nomade del deserto algerino gli avesse offerto ospitalita’ nella sua tenda e regalato due taniche di benzina in un momento di difficolta’ in cui era rimasto in panne con la moto. Questo semplice gesto gli ha dato la misura della bonta’ umana. Lui ci crede anche se intorno ne vede poca. E si commuove.
Verso sera ho preso l’auto per muoverla un po’ altrimenti la batteria si scarica. Siamo andate in alto verso una zona boscosa tra curve a strapiombo e vette innevate. Ci siamo fermate in una radura, ho spento il motore e abbassato il finestrino. L’aria era pungente. Era quasi l’ora blu. Volevo far vedere alla mia bambina i caprioli. Ce ne sono branchi interi sulle nostre montagne. Lo si capisce dagli escrementi che ormai riconosciamo. Ho intravisto una macchia bianca tra gli alberi e siamo scese dall’auto.
Odore di bosco umido. Non so che profumo sia ma e’ penetrante, muschioso, selvatico, legnoso. Un mix di odori antichi che inebriano per un istante. Scricchioliamo sulle foglie e i rami a terra ma del cerbiatto non resta che il richiamo. Rientriamo. Ci riproviamo domani. Meno improvvisate e piu’ preparate.
Settimane fa c’era quasi un metro di neve. Un paesaggio surreale fatto di dune bianche. Soffice giocosita’ infantile. Tuffi e angeli, risate e scivolate con il bob. Vacanza insomma. Gli amici a singhiozzo andavano e venivano e alla fine non sono piu’ tornati. Rimasti in citta’.
Noi no, siamo rimaste qui. Qui non c’e’ quasi nessuno. Anziani, qualche famiglia, cani. Tanta natura, immensa natura e silenzio. Un silenzio che incanta. Fa paura la natura quando non ci sei abituato. Sei nel suo ventre e ti fa paura. Per quanto ti senti piccolo e indifeso, poi scorgi un essere umano e ti tranquillizzi e a quel punto ti fa paura l’uomo.
Questo e’ quello che mi sta accadendo. Sono in una lenta transizione. Noi siamo gia’ abituate a lunghi periodo di solitudine qui in montagna o in citta’. Non mi pesa la lontananza dalla socialita’ sfrenata quasi obbligata, dalla routine lavorativa o dagli impegni mondani. Siamo abituate alla ritirata sociale.
Ora stranamente la vivo con piu’ leggerezza benche’ tutto attorno a noi ci sia l’indefinito e il caos. Anzi questo caos mi obbliga a dare delle regole a sfrondare ancora di piu’. Mi accorgo che posso vivere con un paio di jeans, due t shirt e vecchi maglioni di vera lana che non mi sarei mai sognata di indossare. Che non ho bisogno di tante scarpe ma benedico i miei scarponi da montagna Scarpa comodi in tutte le occasioni.
Mi accorgo dell’importanza dei capi tecnici, pochi ma buoni. Mi accorgo che se dormo male una notte e’ perche’ ho pensato troppo e camminato troppo poco e che il bosco li fuori mi spaventa ma mi chiama e ogni giorno passato a non immergermi nel suo verde e’ un giorno perso. Mi scopro a temere l’uomo nella natura. Buon segno. Mi piace questa sensazione di paura e desiderio che mi spinge a esplorare i miei confini, piccoli e labili di cittadina.
Siamo chiuse in casa da quasi quattro giorni a causa del freddo intenso che ha investito la valle. Nemmeno la neve riesce a scendere come congelata in attesa. Mi accorgo che stare chiusa a rigirare tra stanze e pensieri mi fa male. Eppure mi separa dal fuori solo una parete che e’ piu’ sottile del divieto imposto. La mente umana e’ limitata. Cosi siamo uscite e facendo pochi passi abbiamo trovato una zampa di cervo nel torrente. Disgelo o lupi. Il mondo fuori e’ immobile tranne che per un aquila che vola in cerchio.
Un amico e’ in ritirata su una baita non so dove e di notte sente il branco dei lupi che lo circondano. Passo troppo tempo collegata a farmi impaurire da news e idee altrui. Ho deciso di staccare di dimenticare.
Mi vengono in mente i vari personaggi del passato che hanno passato situazioni estreme, Nelson Mandela, Anna Frank, e mi sento fragile poco preparata. Devo attingere alla coscienza comune e recuperare la loro forza. Non sono allenata ad affrontare situazioni di questo tipo. Sono stata in guerra, ho rischiato di morire, ho avuto una vita difficile ma e’ come se fossi sempre stata anestetizzata.
Ho passato ore a cercare manuali di sopravvivenza. Nella mia mente c’e’ l’idea folle che nulla sara’ piu’ come prima e che sia necessario apprendere una nuova modalita’ di sopravvivenza, perche’ di questo si tratta sopravvivere. Credo che faccia bene passare giorni nel bosco per allenare la mente e il corpo a diventare piu’ resilienti. Pensarci e’ una cosa che mi fa stare bene. Dovremo forse ricominciare in un modo nuovo, in un territorio segnato e destabilizzato in cui saremo alieni a noi stessi. Un reset totale.
Condivido appieno la visione di Giulietto Chiesa e credo si debba creare una rete di persone che fino ad ora sono state border line e ricostituire una nuova umanita’ in sintonia con madre terra. Fuori non passa nessuno.
L’altro giorno i carabinieri hanno bloccato dei ragazzi che stavano andando a fare una passeggiata nel bosco.